La
morte in diretta, il cordoglio in primo piano, l’opinione a
caldo … lo spettacolo della morte sembra essere sempre più al
top delle classifiche e dello share mediatico.
Il
rito funebre è
spesso scandito da applausi che lo riportano forzosamente a una
dimensione di consenso e di rimozione del lutto, mentre la città
contemporanea riduce il funerale ad una sorta di invisibilità,
mero e ulteriore intralcio per il traffico convulso.
Accanto
alla spettacolarizzazione della morte, e intimamente legato ad
esso, vi è l’aspetto della sua valenza “politica”,
allorquando si affrontino le questioni che la possano regolare e
determinare, o che si mettano in gioco questioni etiche (il caso
Englaro per tutti), obbligando la classe dirigente a praticare
scelte che ne prevedano i tempi e i modi.
Tutto
questo è rappresentato nel romanzo di Saramago in modo metaforico
e visionario, con respiro non quotidiano ma poeticamente
realistico, in grado di introdurre l’inquietudine eccezionale
nell’avvicendarsi degli avvenimenti.
La
realtà paradossale dell’assenza della morte è descritta con
linguaggio picaresco e barocco, non disgiunto da un lirismo
malinconico tipicamente lusitano.
Una
vicenda assurda diventa credibile proprio perché vi sono elementi
riconoscibili nella realtà nostra europea, sempre in bilico tra
spiritualismo e laicità, tra radici cristiane e relativismo
contemporaneo.
La
nostra intenzione artistica sarà di trovare immagini potenti a
partire dal testo e oltre il testo, ricreare una dimensione extra
quotidiana ma allo stesso tempo riconducibile ad una realtà
riconoscibile, trasporre in linguaggio di sintesi teatrale la
scrittura barocca di Saramago.
In
questa direzione la scelta del Circo come metafora della società
a forte tasso di comunicazione, abitato da personaggi metafisici e
visionari (il cane, la falce, la morte), creando dialogo tra
queste realtà differenti, attraverso atmosfere teatrali create
con musica e movimento.
Il
mondo di Saramago è fatto di visibile e invisibile: si tratta di
creare un linguaggio che giochi con leggerezza con i paradossi del
testo, e che sia nello stesso tempo attraversato dalla forza della
poesia, a testimonianza che sempre di gioco si tratta, ma
tragicamente serio.
Perché
la morte è logica, è naturale: ci appartiene. Viviamo per morire
e non vivremmo se non morissimo. L’eternità paradossalmente
sarebbe infinitamente peggiore.
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